Oggi abbiamo l’onore di intervistare uno dei nomi più chiacchierati di questo fine 2021: Luciano Nervo.
A Luciano, in società da ben quattro anni, abbiamo chiesto di parlarci più nel dettaglio riguardo la realizzazione e la stesura del libro “Sent’Ani ad Balon”.

 

Buongiorno Lucio, allora dicci come è nata l’idea del libro?

Molto spontaneamente devo dire.
Ci siamo ritrovati in una riunione dirigenziale dedicata al Centenario, verso la fine del 2019 e ci siamo detti: “Dobbiamo assolutamente celebrare questo storico traguardo con tante, diverse iniziative”.
Ovviamente una delle prime idee venute a galla è stata quella di un libro.

 

Quanto tempo ci avete impiegato?

9 mesi abbondanti, come un bambino. Non sono tanti per un libro, anzi sono pochi, però siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo. Sono dovuto andare molto di fretta, lavorando tantissime notti e praticamente tutti i week-end.
È stato un anno pesante sotto questo punto di vista: ho dovuto sacrificare tante cose, a cominciare dal mio tempo libero.
È stato strano. Ero sempre molto preso e di corsa; con la testa pensavo al libro anche quando fisicamente ero altrove.
In più da aprile ho iniziato a lavorare per l’Academy del Parma Calcio, facendo l’ultimo mese e mezzo full-time, restando in ballo dalle 6 di mattina alle 7 di sera, per poi lavorare al libro fino a tardi.
Sono stati mesi tostissimi, ma ero talmente preso da quello che facevo che non mi pesava.

 

Quali sono stati gli step del lavoro?

Siamo partiti lavorando come un gruppo: ci trovavamo una volta a settimana e lavoravamo insieme. Si è capito subito, però, che sarebbe stato impossibile andare avanti così.
Serviva una persona che portasse avanti il lavoro autonomamente a casa.
Di conseguenza i dirigenti hanno deciso di affidare a me il ruolo di responsabile principale dell’intero progetto e di coordinatore di tutte le figure che avevamo deciso di coinvolgere. Ho iniziando leggendo tantissimi documenti e giornali, praticamente tutti dal 1970 ad oggi, ed ho utilizzato neanche il 10 % di tutto ciò.
Successivamente ho scelto insieme ai membri della società quali sarebbero stati i personaggi da intervistare. Abbiamo optato per quelli che sono stati per più tempo al Fidenza, di modo che potessero raccontare al meglio come era l’ambiente della società e non solo. Nel frattempo, costruivo la parte narrativa dopo essermi documentato. Una volta stesa la parte testuale, ho terminato di raccogliere il materiale fotografico e l’ho selezionato.
Infine, ci siamo accordati con la casa editrice Mattioli per la stampa, abbiamo strutturato insieme la parte grafica, e, in un mesetto, l’ho impaginato.

 

Quali sono stati i collaboratori più stretti?

Ascanio Casali e Alberto Poldi-Allay sono state le due persone a cui ho rotto più le scatole e che mi hanno sopportato di più.
Alberto più dal punto di vista organizzativo, mentre Ascanio da quello della scrittura: abbiamo impostato insieme la struttura delle interviste, e mi ha dato tantissimi consigli sulla stesura.
Poi Dante Bariggi e Franco Giordani, i quali hanno scritto le parti in dialetto, hanno fornito qualche aneddoto e, in particolare Dante, mi ha aiutato con la parte storica. Anche Mario Anselmi ha dato una mano enorme fornendoci tantissime foto.
Infine, ovviamente la dirigenza che mi ha sempre supportato e aiutato a gestire la situazione al meglio. Ho lavorato tanto da solo ma, senza queste persone sarebbe uscito un prodotto di valore molto inferiore rispetto a quello che possiamo vantare oggi.
Oltre a questi però ci tengo a sottolineare che abbiamo coinvolto circa 150 persone.

 

Hai sempre pensato di riuscire a portarlo a termine o ci sono stati momenti dove hai detto “Basta, mollo tutto!”?

Sono sempre stato sicuro di portare a termine tutto, anche perché mi è stata data una non piccola dose di fiducia dalla dirigenza, e non mi sarei mai perdonato se non l’avessi ripagata.
Era il “come l’avrei fatto” che non mi faceva dormire la notte. Siamo partiti tardi, un po’ per colpa nostra e un po’ a causa della pandemia, quindi ho dovuto fare tutto abbastanza di corsa dall’inizio alla fine.
Avevo paura di non essere all’altezza, di fare una cosa non degna della grandezza della società. In effetti ho accettato l’incarico come li accetto di solito: alla leggera, buttandomi, senza pensare alle eventuali difficoltà.
Qualche mese dopo ho intervistato persone che si commuovevano parlando del Fidenza, il che mi ha fatto riflettere sulle mie responsabilità, ma allo stesso tempo mi ha “gasato” tantissimo. Sentire la passione nella voce delle persone mi smuove più di qualsiasi altra cosa.

 

Dal libro emerge come il Fidenza, nonostante sia una realtà dilettantistica, abbia significato molto per i giocatori che ne hanno indossato la maglia. Pensi che nello sport di oggi questi valori si siano un po’ persi?

No, non penso si siano persi, secondo me si è solo ridotto il volume di persone affette da questa “patologia”. Effettivamente viviamo in un mondo molto più piccolo, nel quale le vere ambizioni sono quelle di arrivare in Serie A e se non si raggiunge questo obiettivo ci si sente come se si avesse fallito.
I nostri eroi sono quelli che tifiamo in tv ai massimi livelli ma, in passato, i modelli a cui si ambiva erano ben altri. Erano quelli che si vedevano giocare dal vivo negli stadi locali.
Ho sentito tantissime persone “innamorate” dei vari Tanzi Marlotti, Del Rio, Casoli, Mingozzi, Santi… e questa cosa mi colpisce e affascina tantissimo. Per quei ragazzi vestire la maglia del Fidenza voleva dire essere arrivati. Per un ragazzo come me del ‘98 era una cosa inconcepibile.
Oggi il calcio dilettantistico è un po’ passato di moda, ma ci sono ancora tantissimi calciatori che sentono il peso della maglia che indossano.

 

Qual è l’intento del libro?

Noi volevamo fare qualcosa di leggero, pieno di immagini e di volti.
La parte narrativa avrebbe dovuto garantire la giusta cornice di contesto alla storia del Fidenza. Soprattutto i primi decenni (già raccontati da Luciano Castaldini) li abbiamo voluti arricchire con parti dedicate al passato della città.
Abbiamo voluto chiamare in causa alcuni protagonisti per rievocare le emozioni che, nel tempo, sono state associate ai colori fidentini.
In definitiva, qualcosa di piacevole e scorrevole, che potesse risvegliare dolci ricordi a più persone possibili. Anche il prezzo (10 €) è volutamente basso per permettere a chiunque di poterlo acquistare senza un esborso eccessivo.

 

Quali sono state le storie che ti hanno più emozionato?

Due su tutte: l’anno dei record e la salvezza di Darfo.
La prima me l’hanno raccontata tutti con una punta di amarezza, ma parlando di quello spogliatoio come qualcosa di incredibile. Darfo invece è secondo me l’evento più fresco, e me l’hanno raccontato in tanti, con molti dettagli e ancora esaltatissimi per quell’annata.
Si capisce da come parlano che in quella stagione si è creato qualcosa di magico.

 

Come mai è stato affidato a te l’intero progetto?

Io sono un ragazzo che è dentro la dirigenza da praticamente 4 anni.
Mi sono proposto finite le superiori per fare le video-sintesi, e nel corso degli anni sono diventato membro attivo dello staff della comunicazione, facendo tantissime cose diverse, tra cui scrivere gli articoli delle partite.
Fuori dal Fidenza mi sono laureato in Comunicazione e sono laureando in Giornalismo qui a Parma.

 

Cosa significa per te questo libro?

Devo ancora metabolizzare bene il tutto ma già oggi per me significa tantissimo: è un bel mattone su cui posso costruire il mio futuro; è motivo di apprezzamenti e di stima ricevuti da persone che fino a qualche mese fa neanche conoscevo; è una crescita personale inestimabile. Su tutto è però una poesia nella quale concretizzo i miei sentimenti verso la squadra che seguo tutte le domeniche e, più in generale, verso il mondo dilettantistico, che per me ha un fascino infinito.
Per quanto riguarda il lavoro, mi ha fatto crescere: per la prima volta in vita mia, ho assunto il ruolo di “capo”, anche se ero più uno che guidava seguendo i consigli di diverse persone.
Ho parlato con gente che non conoscevo, e questo devo dire che mi ha sbloccato molto: sono sempre stato estroverso, ma, ad oggi, penso di esserlo diventato ancora di più. Giusto per fare un esempio: qualche anno fa, prima di una telefonata, mi ripetevo in testa decine di volte quello che volevo dire, adesso non mi preparo più nulla in anticipo.

 

Per concludere, che emozioni hai provato e quanto è stato appagante presentare “Sent’Ani ad Balon” davanti a quasi 300 persone?

Non saprei, un mix. Mi sono sentito appagato, esaltato, e sollevato da un lavoro che ha impiegato praticamente tutto il mio tempo da febbraio ad oggi.

 

Grazie della tua disponibilità Luciano, speriamo che questo sia solo il primo di tanti libri che scriverai per il Fidenza. Magari nel prossimo racconterai della risalita dalla Prima Categoria fino alla Lega Pro!

 

Mattia Dallaturca